Una piccola chiesa, un grande passo verso il futuro; un occhio rivolto al passato, che non viene però mitizzato ma rielaborato per seguire nuove vie. La chiesa è quella di Mogno, nella Val Lavizzara; il passato è quello che c’era prima al suo posto, la chiesetta di San Giovanni Battista, un gioiellino del XVII secolo distrutto dalla valanga del 25 aprile 1986; è il passato di una valle periferica, con la sua dura vita di montagna, confrontata con i pericoli e le minacce della natura e con le difficoltà del vivere quotidiano, lontano dal benessere. Il futuro è quello di un Ticino che sa reinventarsi di fronte alle difficoltà e ai contraccolpi. La Chiesa di Mogno dell’architetto Mario Botta, inaugurata vent’anni fa, dieci anni dopo la valanga distruttrice, è uno dei più bei simboli di questo Ticino che sa reinventarsi senza rinnegarsi. La doppia ricorrenza è stata celebrata a fine giugno alla presenza del consigliere federale Alain Berset. È stata una bella occasione di riflessione, grazie ai diversi interventi e al botta e risposta tra lo stesso ministro della cultura e l’architetto Botta. Oggi tutti guardano con ammirazione e anche con orgoglio alla Chiesa di Mogno. Ma questo mirabile monumento religioso è nato tra le polemiche. Anche questo fa parte dell’identità del Ticino. L’incarico a Mario Botta venne subito contestato; quando venne mostrato il progetto si scatenarono le critiche di una parte della popolazione locale e del mondo politico. La creatività e la genialità di Botta sono abituate a questa dialettica, ma allora il confronto fu davvero infuocato. “Questo progetto,forse più che altri, per la perentorietà e la forza che lo hanno animato, ha acceso nel Paese dispute ideologiche e violente polemiche certamente sproporzionate alla misura dell’intervento” ha scritto l’architetto nel 1999 in un testo di riflessione che è possibile leggere nel sito internet della Chiesa di Mogno. Saggezza e modestia di un grande architetto. Resta il fatto che quel confronto andava oltre l’edificio in sé e oltre le sue dimensioni. Identità e modernità, conservazione e innovazione, tradizione e cambiamento: una dialettica che appartiene a tutte le società mature, ma che in Ticino può accendersi con fiammate che riescono sempre a sorprendere. Un cantone di frontiera, minoranza linguistica, sull’asse nord-sud, tra due realtà economiche molto forti (Zurigo e Milano) vive così quella dialettica, tra la paura di perdere punti sicuri e di non farcela, da un lato, e il coraggio e la determinazione dei propri mezzi e delle proprie capacità, dall’altro lato. La piccola grande chiesa di Mogno può essere oggi un simbolo di questo Ticino.

Marina Masoni / Articolo apparso sulla NZZ am Sonntag con il titolo “Bottas Kirche als Symbol”

Pubblicato il: 15/07/2016