La Radiotelevisione svizzera di lingua italiana è sulle spine. Non solo per le difficoltà di alcune sue emittenti in fatto di quote di mercato, ma ora anche per la cura dimagrante decisa in seguito alla votazione popolare sul nuovo canone. L’annuncio della SSR è del 7 settembre. Per la RSI il contenimento delle uscite sarà di 5 milioni e mezzo di franchi. Non è un grande sacrificio: su una spesa di 230 milioni di franchi, il risparmio rappresenta il 2,2%. Una dieta leggera, dunque. Di questi tempi, le industrie esportatrici private, confrontate con la forza del franco, devono attuare provvedimenti ben più pesanti per mantenere la loro solidità finanziaria. Alla radiotelevisione parastatale si può dunque chiedere di fare uno sforzo minimo come quello annunciato. Per la Svizzera italiana, proporzionalmente il taglio pesa di più. Potrebbe essere la conseguenza della votazione popolare sul nuovo canone, che in Ticino e nella parte italiana dei Grigioni aveva dato un esito negativo; ma è pur vero che anche gran parte della Svizzera tedesca aveva bocciato la modifica della legge federale, salvata dalla Romandia. Sia come sia, per la RSI è un richiamo alla realtà. L’ente radiotelevisivo ha sempre goduto di una posizione e di condizioni di privilegio e non ha mai dovuto fare seriamente i conti con la realtà economica del Paese. Le imprese private in Ticino hanno attraversato turbolenze e crisi strutturali, cambiamenti epocali, hanno conosciuto problemi e difficoltà molto serie; hanno dovuto ristrutturarsi, con misure dolorose. Il vascello della RSI, tutelato dalla legge, dal monopolio solo in parte scalfito e dalla garanzia del canone, ha invece navigato in acque sempre tranquille. Le critiche che giungevano e giungono dall’esterno, per i costi, per l’impostazione dei programmi, per la scarsa propensione al pluralismo, per la parzialità di certe trasmissioni, sono state quasi sempre affrontate con sufficienza e spesso snobbate dai vertici aziendali. Il voto del 14 giugno, comunque la RSI lo interpreti, ha cambiato qualcosa. Quella bocciatura costringe l’ente radiotelevisivo ad un atteggiamento più modesto. A Comano forse si è compreso che il mandato per il servizio pubblico non può più essere una specie di carta bianca che permette alla RSI di giustificare tutto. Dalla Svizzera tedesca, ma soprattutto dalla Romandia si guarda con crescente perplessità ad una regione di 350mila abitanti in cui la SSR finanzia due canali televisivi, tre reti radiofoniche più un’offerta multimediale con mezzi che i privati possono solo sognare. La solidarietà, elemento essenziale del federalismo elvetico, si riflette nella chiave di riparto regionale dei mezzi finanziari dell’ente radiotelevisivo e forse la reazione più facile al voto popolare è quella di metterne in dubbio le proporzioni. Ma non sarebbe più giusto e anche doveroso affrontare, in tutte le regioni, il tema di fondo del mandato pubblico?

Marina Masoni / Articolo apparso sulla NZZ am Sonntag il 20 settembre 2015, con il titolo “Lektion für Tessiner SRG”

Pubblicato il: 25/09/2015