Il 25 settembre potrebbe essere una domenica spartiacque per il mercato del lavoro in Ticino. Si voterà su due iniziative popolari (e sui relativi controprogetti): una è denominata “Basta con il dumping salariale!”, l’altra “Prima i nostri!”. La prima (lanciata dal Movimento per il Socialismo) chiede l’introduzione di un sistema invasivo di controllo dei salari: ogni contratto di lavoro esistente e ogni nuovo contratto dovrebbero essere notificati ad un ufficio del Cantone, con indicazioni molto dettagliate (forma e durata del contratto, funzione, qualifica richiesta, luogo di lavoro, orario settimanale, retribuzione, età, sesso, nazionalità, domicilio). Il Cantone pubblicherebbe poi ogni anno la statistica dei salari sulla base di tutti questi dati. In caso di infrazioni, i datori di lavoro sarebbero segnalati all’autorità competente. Verrebbe inoltre assunto dal Cantone un ispettore del lavoro ogni 5’000 impieghi (costo: 6 milioni di franchi annui secondo gli iniziativisti, 10 milioni secondo il Governo). La seconda iniziativa (lanciata dall’UDC) propone di attuare a livello cantonale il voto federale del 9 febbraio 2014 e quindi di proteggere il mercato del lavoro in Ticino, bloccando di fatto la libera circolazione delle persone (priorità di assunzione al personale residente, divieto di licenziare residenti per sostituirli con collaboratori non residenti). I controprogetti elaborati dal Parlamento prevedono invece norme non vincolanti e molto più generiche. Con i tempi che corrono, le probabilità di successo dell’una o dell’altra iniziativa o persino di entrambe non vanno sottovalutate. Dovesse accadere, in Ticino il mercato del lavoro si chiuderebbe e diventerebbe un mercato iper-regolamentato. Per le imprese, gli obblighi stabiliti dalla prima iniziativa causerebbero oneri amministrativi molto importanti. E per i dipendenti si porrebbero seri problemi di tutela di dati sensibili (come lo stipendio, ad esempio): le fughe di notizie anche da uffici pubblici oggi sono quasi all’ordine del giorno. Ci sarebbe un vero e proprio stravolgimento delle regole all’interno delle quali le aziende oggi possono muoversi. Con quali conseguenze? Nessuno ha la sfera di cristallo. Però il buon senso e l’esperienza ci dicono che queste chiusure e queste regolamentazioni estreme non proteggono chi lavora, ma al contrario soffocano le attività imprenditoriali. Il cantone di frontiera rischia di perdere molto dal profilo economico.

Marina Masoni / Articolo apparso sulla NZZ am Sonntag il 18 settembre 2016 con il titolo “Arbeitsmarkt in Gefahr”

Pubblicato il: 23/09/2016