- Cinquant’anni fa il popolo e i cantoni svizzeri diedero il voto alle donne. Lei allora era una giovane adolescente. Si ricorda ancora come visse questo avvenimento?
Certo, ricordo bene anche il voto, due anni prima, del Cantone Ticino. Un avvenimento davanti al quale, come in moltissime famiglie e scuole Ticinesi, abbiamo reagito con entusiasmo. I cantoni avevano iniziato a riconoscere il diritto di voto delle donne prima della Confederazione. Il Ticino era stato tra i primi a prendere questa decisione: sembrava naturale che su questa onda in crescendo la Confederazione seguisse in tempi abbastanza brevi. Il voto del Ticino fu un tassello importante e due anni dopo arrivò anche quello della Svizzera. Il suffragio universale della nostra profonda democrazia, fin lì dimezzato, diventava finalmente intero.
- La sua è una famiglia di politici: fino al 1971 l’unico “in carriera” poteva essere solo suo papà Franco. Unico uomo in una famiglia di sole donne, di che opinione era? O poteva essere?
Il nostro papà si era impegnato molto a fondo per il voto delle donne fin da adolescente. Ed è stato un papà estremamente promozionale, che ci ha sempre incoraggiate e sostenute nelle nostre aspirazioni. Indubbiamente aveva avuto un ruolo determinante la figura di sua mamma: una donna forte e intelligente, maestra e poi ispettrice scolastica, che aveva a sua volta lottato per la parità sin da quando frequentava la magistrale, nei primi anni del Novecento, e aveva saputo conciliare famiglia e lavoro in tempi difficilissimi. Poi papà Franco ha incontrato Valeria, la nostra mamma, una donna davvero straordinaria e completa sia dal punto di vista intellettuale e culturale, sia da quello affettivo. Era avvocato, e appena la legge le riconobbe il diritto di fare il notaio (molto tardi!) diventò la prima notaia del Canton Ticino. La nostra mamma ebbe un influsso importantissimo sul nostro crescere libere e convinte della nostra parità, come sul nostro crescere convinte di poter essere ognuna donna a modo suo; ma di certo un uomo che non fosse stato già molto ingaggiato per la parità e intrinsecamente paritario non avrebbe potuto accettare – settant’anni fa – una donna come Valeria.
- Discussioni con sua mamma e con voi sorelle in questo senso ce ne sono mai state?
Parlavamo spesso di diritti democratici e di parità, sempre dando per scontato che ci si doveva impegnare in vari ambiti, ma che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto: noi figlie avremmo potuto scegliere liberamente il nostro percorso di vita, e al momento in cui saremmo diventate maggiorenni avremmo avuto diritto di votare in una democrazia finalmente non più a metà. E così è stato: il diritto di voto è arrivato prima della nostra maggiore età. Davamo pure per scontato che vi sarebbe stata piena parità tra donne e uomini, concreta e pari libertà di scelta del modo di essere di ognuna e ognuno nella nostra società. E qui eravamo troppo ottimiste: vi sono certo stati grandi progressi, ma l’obiettivo non è ancora pienamente raggiunto. Rimane parecchio lavoro da fare, soprattutto a livello sociale e di costume.
- Quattro donne in casa e tutte con un carattere relativamente forte: c’è mai stata competizione fra di voi o ha sempre prevalso la solidarietà femminile?
Il sentimento che ha prevalso in famiglia è indubbiamente l’amore: tra i miei genitori, dei genitori verso le figlie e viceversa e tra noi sorelle: una vera sorellanza. Legami affettivi ben saldi tra tutti noi. Il segreto è comunque il rispetto profondo degli altri, della libertà, dell’identità e dell’indipendenza di ognuno. E infatti le mie sorelle hanno scelto percorsi diversi: Giovanna è entrata in politica attiva, mentre Paola si è concentrata sulla professione. E come in tutte le vicende umane, c’è voluta anche la fortuna.
- E papà si è mai sentito un “quinto incomodo”?
Non penso proprio, perché è una personalità estremamente forte, anche se ogni tanto in famiglia ci ridevamo su. Avevamo un cane che si chiamava Morgan e quando papà lo portava fuori diceva: “Vieni Morgan, noi uomini andiamo a fare una passeggiata”.
- In generale nella sua vita ha mai sentito il suo essere donna come un limite?
No, mai. E in questo devo davvero ringraziare l’educazione che ho avuto in famiglia. A ragion veduta, oggi ci diciamo che forse ha anche aiutato il fatto che non ci fosse un fratello, perché nonostante tutti gli sforzi, avremmo sentito di più l’influsso del costume del tempo, delle differenze di valori e ruoli che venivano attribuiti a maschi e femmine. Difficilmente sarebbero entrati nella famiglia in senso stretto, ma forse attraverso gli amici e le frequentazioni sarebbero filtrati e li avremmo recepiti di più.
- E come un valore aggiunto?
Siamo state cresciute nell’idea che ogni persona debba essere valutata per quello che è e per quello che fa come individuo, per le sue qualità, capacità e specificità personali.
- E gli altri hanno mai visto il suo essere donna come un limite (o per lo meno ha avuto l’impressione che così lo ritenessero)? O un valore aggiunto?
E’ sempre difficile immaginare cosa pensano gli altri. Dalle impressioni raccolte in tutti questi anni, posso solo dire che in molti ambiti, ancora oggi, le donne devono superare un esame in più.
- Oltre vent’anni affinché in Ticino fosse eletta una consigliera di Stato donna non sono un po’ troppi?
Il costume cambia più lentamente delle leggi. Più preoccupante ancora è che da allora non si siano fatti solo passi avanti, ma anche passi indietro: oggi in Consiglio di Stato non c’è nemmeno una donna.
- Unica donna tra quattro uomini, entra per la prima volta nella sala riunioni del Governo ticinese e…?
…e mi metto subito a lavorare con loro. Mi ha molto aiutata Giuseppe Buffi, sempre saggio, sensibile ai temi di parità, pronto a ironizzare e sdrammatizzare con intelligenza e esperienza.
- Essere donna allora in politica era un ostacolo?
Non potrei dire: l’esame in più c’è stato, e certamente qualche pregiudizio veniva rivelato dagli aggettivi usati e dai commenti fatti. Ma personalmente non venivo criticata perché donna, bensì per i miei progetti e per le mie idee profilate. In ogni caso, se pensiamo alla percentuale di donne in politica ai giorni nostri (e non parliamo nemmeno di quella di allora), qualche ostacolo deve pur esserci. Certo, in politica ci vogliono tante diverse qualità, ma ci sono indubbiamente molte donne che le hanno.
- La maternità per molte donne è ancora un problema, sia per fare carriera che a volte addirittura per rimanere occupate. Ritiene che la società – stato ed economia privata – dovrebbe impegnarsi di più per conciliare famiglia e lavoro?
Sì. L’universo femminile è un patrimonio umano enorme e dal mondo della formazione escono notevoli talenti che poi, dopo la maternità, rischiano di perdere il contatto con il mondo del lavoro. Il dilemma per ogni mamma è occuparsi appieno dei bimbi o continuare a lavorare almeno a tempo parziale. E questo influenza la scelta se diventare mamma. Reinserirsi dopo una pausa non è facile ed abbinare famiglia e vita professionale nemmeno. Va detto che molte donne ci riescono e anche molto bene. Ma ognuno dovrebbe fare la sua parte: compagni di vita, mondo del lavoro, mondo della scuola e mondo politico.
- In questo senso, fosse ancora attiva in politica quali sarebbero le priorità della sua agenda? (se risponde negativamente alla domanda precedente evidentemente questa salta).
Occorre agire su più fronti: una delle priorità politiche è la formazione professionale, con l’offerta di corsi di riqualifica e aggiornamento per agevolare il rientro nel mondo del lavoro. Ma si dovrebbe lavorare anche sugli orari scolastici e l’offerta di mense, e malgrado gli importanti miglioramenti di questi anni, incentivare le aziende a maggior flessibilità.
- Lei come ha vissuto il movimento “me too”, emerso in questi ultimi anni?
Lo capisco, ma dobbiamo stare attenti a non “far pagare” ai giovani di oggi problemi nati in millenni di storia. E dobbiamo stare bene attenti a limitare e arginare le manifestazioni di potere, ma non le manifestazioni di affetto. Sono istanze sulle quali si dovrà lavorare molto seriamente e molto a fondo.
- Si immagini di rivedersi giovane donna, giovane laureata e giovane politica alle prime armi: che consiglio si darebbe?
Essere sé stessa, non aver timore di portare la propria individualità e il proprio profilo nel percorso che sceglie e, in politica, avere buoni progetti e lavorare per costruire il consenso per realizzarli.
- È lo stesso che darebbe a una giovane del 2021?
Sì, senza dubbio.
- Dopo mezzo secolo e un paio di generazioni siamo ancora qui a parlare di parità fra uomini e donne: non ritiene che dovrebbe essere un fatto ormai culturalmente acquisito, per lo meno da noi?
Certo, ma per ora non lo è. Proprio questo sarà l’indicatore della raggiunta parità: che non sarà più necessario parlarne. Non ci chiederemo più “quante” donne (in politica, nelle aziende, in qualsiasi ambito), ma “quali” donne, non quale genere, ma quale persona.
- Quando, se mai, pensa che diverrà realtà?
Nessuno ha la sfera di cristallo. In questo processo abbiamo visto progressi, ma anche battute d’arresto e passi indietro. La parità deve diventare realtà, ma non possiamo dire né quando, né se avverrà. Quello che possiamo dire è che dipenderà da ognuno di noi.
Pubblicato il: 08/05/2024